PARROCCHIA SS. REDENTORE - MONSERRATO

I vizi e le virtù

L’Accidia: torpore malinconico, inerzia nel vivere e compiere opere di bene. Indolenza, indifferenza: l'accidioso indugia voluttuosamente nell'ozio e nell'errore. Sa quali siano i suoi impegni, ma pur di non assolverli, ne ridimensiona la portata, autoconvincendosi che si tratti di piccolezze e che rimandarle non comporti conseguenze gravi.

Nell'accezione più comune, il vizio è un'abitudine umana negativa, che spinge l'individuo ad un comportamento nocivo normalmente ripetitivo. Il comportamento può essere legato ad un atteggiamento personale, dipendente da diversi fattori, o legato ad agenti esterni come il fumo, l'alcol o la droga.

La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete. Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili e abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. Le virtù morali sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare in comunione con l'amore divino.

Si chiamano virtù cardinali, perché sono il cardine, e il fondamento delle virtù morali; denominate anche virtù umane principali, riguardano essenzialmente l'uomo e costituiscono i pilastri di una vita dedicata al bene. Riguardano l'animo umano (differenziandole perciò dalle virtù teologali, che invece riguardano Dio) regolando la condotta in conformità alla fede, nonché alla ragione.

Le virtù cardinali sono quattro: la Prudenza, la Giustizia, la Fortezza e la Temperanza.

La Prudenza: è la virtù che dirige ogni azione al debito fine, e perciò cerca i mezzi convenienti affinché l'opera riesca in tutto ben fatta, e quindi accetta al Signore. Dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo.

La Giustizia: è la virtù per cui diamo a ciascuno quello che gli si deve. Consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. Dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune.

La Fortezza: è la virtù che ci rende coraggiosi a non temere alcun pericolo, neppure la stessa morte, per servizio di Dio. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni.

La Temperanza: è la virtù per la quale raffreniamo i desideri disordinati dei piaceri sensibili, e usiamo con moderazione dei beni temporali. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore.

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Nella dottrina della Chiesa cattolica queste virtù, a differenza delle virtù cardinali, non possono essere ottenute con il solo sforzo umano ma sono infuse nell'uomo dalla grazia divina. Le virtù teologali sono tre: la fede, la speranza, la carità.

La fede: è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede l'uomo si abbandona liberamente e completamente a Dio per fare in pieno la sua volontà.

La speranza: è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. Essa risponde all'aspirazione verso la felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono.

La carità: è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio. Gesù fa della carità il comandamento nuovo. Amando i suoi « sino alla fine » egli manifesta l'amore che riceve dal Padre. Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l'amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta.

I vizi capitali sono un elenco di inclinazioni profonde, morali e comportamentali, dell'anima umana, spesso e impropriamente chiamati peccati capitali. Questo elenco di vizi distruggerebbero l'anima umana, contrapponendosi alle virtù, che invece ne promuovono la crescita. Sono ritenuti capitali poiché più gravi, principali, riguardanti la profondità della natura umana. Impropriamente chiamati peccati, nella morale filosofica e cristiana i vizi sarebbero già causa del peccato, che ne è invece il suo relativo effetto. I vizi capitali sono sette: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia.

La Superbia: desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi, rispetto altrui. Il superbo ostenta sicurezza e cultura e sminuisce i meriti altrui. La sua posizione psicologica è però più complessa: non sempre è realmente convinto di possedere tutte le qualità che lui stesso si attribuisce. Teme delusioni e insuccessi perché rivelerebbero la triste verità che egli stesso sospetta, quella di essere in realtà un mediocre, un normodotato, di rientrare nella media.

L’Avarizia: desiderio irrefrenabile dei beni temporali. Estremo contenimento delle spese non perché lo imponga la necessità, ma per il gusto di risparmiare fine a se stesso. L'avaro si sente un virtuoso e si descrive con aggettivi delicati ed equilibrati: prudente, attento, oculato, parco.

La Lussuria: desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fine a se stesso. La lussuria non è la semplice dedizione ai piaceri sensuali. Lussurioso è soprattutto chi si lascia rapire e cullare continuamente dalla fantasie sensuali. La lussuria diventa un vizio quando il costante volgersi del pensiero al desiderio impedisce il normale svolgimento delle incombenze quotidiane.

L’Invidia: tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio. Per l'invidioso, la felicità altrui è fonte di personale frustrazione. Sminuisce i successi altrui e li attribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia.

La Gola: abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo. Il peccato di gola non è la mera ingordigia o la smodata consumazione di cibo, ma il lusso alimentare, la predilezione per la cucina raffinata, la propensione a cibarsi esclusivamente di pietanze pregiate e costose.

L’Ira: irrefrenabile desiderio di vendicare violentemente un torto subito. L'ira non è l'occasionale esplosione di rabbia: diventa un vizio in presenza di un'estrema suscettibilità che fa sì che anche la più trascurabile delle inezie sia capace di scatenare una furia selvaggia.

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